sabato 23 febbraio 2008

Non volevo essere un campione

In piedi su un trampolino di metallo, Marco osservava l’autostrada d’acqua azzurra aprirsi davanti ai suoi occhi, con le strisce rosse e bianche che separavano le corsie e la linea blu della mezzeria sul fondo.
Pochi secondi ancora, e il fischio dell’arbitro avrebbe dato il via alla gara dei 50 metri in stile libero per il titolo di “Tritone” del circolo nautico Poseidone. Secondi che scorrevano lenti come ore.
In quell’attesa snervante, le sue gambe lunghe e smilze da fenicottero presero a tremare, smosse da un senso d’ansia iniziato con un fremito alla bocca dello stomaco e diventato una vera e propria tenaglia.
Se avesse potuto, se ne sarebbe rimasto volentieri a casa a guardare gli incontri di wrestling in televisione. Ma ormai era troppo tardi.
Dall’alto del trampolino guardava il pubblico sulle gradinate cercando di intravedere i "vecchi", come gli piaceva chiamare sua mamma e suo padre. E i vecchi erano lì, stipati come sardine in mezzo agli altri genitori. Manuela, sua mamma, era seduta accanto a Rosy, l’amica di sempre, e agitava le mani in aria per farsi vedere e per incoraggiarlo. Sembrava un’ultrà.
Accanto a lei c’era Paolo, suo padre, immobile con le braccia appoggiate al parapetto in ferro delle gradinate. Lo sguardo teso e fisso nel suo.
Uno sguardo che, pur da lontano, lo avvolgeva come un’armatura d’acciaio e gli irrigidiva le gambe e i muscoli.
Paolo nutriva una passione smisurata per quello sport. Una passione che, in gioventù, si era scontrata con il rifiuto sordo e indiscutibile di suo padre: “Vieni a darmi una mano in negozio, invece di perdere tempo come un pesce in ammollo!”

Marco cominciò allora ad immaginare come sarebbe stato il ritorno a casa, se non avesse vinto quella gara: suo padre che guidava tutto nervoso, e sua madre che non apriva bocca per paura delle sue reazioni incontrollate. Per un istante ripensò a quando Paolo gli aveva insegnato a rimanere a galla.
Erano al mare, a Formia, e per fare il bagno nell’acqua più pulita decisero di affittare il pedalò e di andare al largo. Quel giorno c’era anche Sara, sua sorella, che di solito rimaneva sotto l’ombrellone a studiare o a leggere i suoi romanzi d’amore.
Arrivati al largo, Paolo afferrò Marco sotto le ascelle e lo alzò in aria.
“Signore e signori, ecco a voi il più grande nuotatore di tutti i tempi: Marco Bellini”, e lo lanciò in acqua come un sasso.
“Ma sei impazzito!”, gridò Manuela
“Papà!”, gridò Sara
“Zitte e guardate”, le gelò Paolo.
Marco era scomparso sotto il pelo dell’acqua e dal basso salivano in superficie piccole bollicine d’aria. Pochi istanti e risalì in superficie come un sub in apnea, arrancando come un cagnolino in cerca di un appiglio, e con la bocca spalancata per incamerare un po’ d’aria.
“Muovi le braccia e le gambe se non vuoi andare giù, coraggio!”, gridò Paolo.
Marco aveva bevuto e non riusciva più a respirare. Cominciò a piangere. Sentì colargli sul viso qualche lacrima più salata dell’acqua di mare. Le braccia gli bruciavano come se avessero preso fuoco, e nonostante le muovesse come due remi, scendeva sempre più giù nell’abisso.
Ormai la bocca e le orecchie erano sommerse e solo gli occhi fuoriuscivano dall’acqua, come una piccola rana in uno stagno. Con le orecchie in acqua riusciva a sentire il battito accelerato del suo cuore; un suono nitido e pulito, come se quel piccolo muscolo stesse cercando di uscirgli dal petto.
All’improvviso però sentì una mano afferrarlo per un braccio e sollevarlo in aria, e in un attimo si ritrovò seduto sulla poppa del pedalò a tossire come un vecchio fumatore che tenta di respirare.
“Hai visto come sei stato bravo a rimanere a galla? Diventerai un campione, ne sono sicuro!”
“Si, papà”
E ora era lì, avvolto da quel caldo afoso e umido che sapeva di cloro. Voltandosi a destra vide che nella corsia accanto alla sua gareggiava Giacomo Pansini, un compagno di classe.
Giacomo Pansini era il figlio dell’avvocato Cesare Pansini, il presidente del circolo Poseidone. A scuola Giacomo era antipatico a tutti. Un giorno era il tuo migliore amico se ridevi alle sue battute e facevi quello che diceva, e il giorno dopo era il tuo peggior nemico e ti rifilava quegli scherzi del cavolo, tipo nasconderti il diario nel cestino dell’immondizia per farti ridere addosso da tutta la classe. E poi era sempre invidioso di quello che possedevano gli altri. Se vedeva nell’album di qualcuno la figurina di un calciatore che lui ancora non aveva, tornava a casa e sghignazzava finché i suoi non gli compravano tutte le bustine dell’edicola.
Sul trampolino alla sua sinistra invece, Marco vide Antonio Papale, quello che quando litigava dava a testate sul naso fino a farti lacrimare gli occhi e uscire il sangue. Per via di quel suo modo meschino di litigare, tutti a scuola lo chiamavano “l’Uomo Tigre”. Tutto suo padre.
Girava voce infatti, che quando suo padre era giovane, aveva ucciso un tipo a pugni in faccia solo perché aveva osato guardare troppo la sua ragazza, cioè la madre di Antonio.
In quel momento Marco si sentì come Cristo tra i due ladroni. Nelle altre corsie invece, Marco intravide Alfonso Pecora, Lucio Adinolfi e Marco Stasi, quelli della 5ª G.
Mentre girava di nuovo la testa verso la sua corsia, il suo sguardo si posò per un attimo su un gruppetto di ragazzine urlanti disposte in cerchio intorno a un’altra ragazzina di cui però Marco non riusciva a vedere il viso.
Quando il cerchio si sciolse, ne uscì lei: Sonia Viggiani, la figlia del dentista. Era proprio lei, la più bella dell’istituto, mora e coi capelli lunghi. Quella che aveva le tette più grandi di tutte e che faceva arrossire e fantasticare tutti i maschi. Marco compreso.
Su di lei giravano voci contrastanti a scuola: c’era chi diceva che era una vera santarellina, e chi giurava di averla vista in bagno abbassarsi le mutandine davanti a Gino il bidello.
Voci a parte, Marco restò per un attimo incantato a guardarla, mentre un’onda anomala di emozioni si abbatteva dentro di lui lasciando il segno del suo passaggio con un rossore acceso in volto.
Sulla sua testa comparve una nuvoletta bianca con dentro la scena di lui vittorioso, e di Sonia Viggiani avvinghiata a lui.

Cosa penserà di me Sonia Viggiani se non vinco? Che sono una schiappa, ecco quello che penserà.

Il primo fischio dell’arbitro avvertì i partecipanti di sistemarsi in posizione di partenza.
Al secondo fischio, Marco schizzò in aria come una cavalletta, con le braccia tese e unite in avanti per tagliare meglio il pelo dell’acqua. A ogni bracciata sentiva il suo corpo slittare in avanti e le grida di incitamento del pubblico che diventavano echi smorzati quando rimetteva la testa in acqua.
Poche bracciate ancora e il traguardo sarebbe stato suo.
Quando toccò con la punta delle dita il muretto di fine corsia, si alzò di scatto per avere la certezza della vittoria, ma si rese subito conto che non era così. Giacomo Pansini, con le braccia alzate, esultava in direzione del padre, che dagli spalti alzava i pugni in aria in segno di vittoria.
Marco cercò lo sguardo di Paolo, ma non riuscì a trovarlo.
Quando Manuela entrò negli spogliatoi, lo trovò in piedi su una panca in legno, immobile, con la testa china e i capelli che grondavano acqua per terra. Aveva gli occhi rossi e tirava su col naso.
“Ma sei matto, così ti prendi un accidente! Asciugati!”, gli disse stringendolo a sé con l’accappatoio e strofinandolo.
“Dov’è papà?”, fece lui.
“Papà ci sta aspettando in macchina, muoviamoci”
“Sono stato lentissimo, vero?”
“Ma che dici? Sei stato bravissimo”
“Non è vero. Mi dispiace mamma”
“Dispiace di cosa? Non fare lo stupido e muoviamoci che papà ci sta aspettando”, gli disse abbassandogli il costume e svelando allo spogliatoio un piccolo lombrico che gli penzolava tra le gambe.

La Regata blu metallizzato cominciò a sbuffare fumo al loro arrivo. Manuela salì davanti e Marco dietro. L’auto partì e al primo incrocio svoltò verso casa.
Era una sera d’inverno e Fabio, con la testa appoggiata al finestrino, ascoltava il fruscio del vento.
Mentre guidava, Paolo fischiettava e dava piccoli colpetti sul manubrio con le dita, finché di colpo sbottò:
“Ti sei fatto fottere da quello smidollato di Pansini, ti rendi conto?”
“Paolo, ti prego”, intervenne pacata Manuela.
“Ti prego cosa? Tu è meglio che stai zitta!”
“Papà…ma io…”, balbettò Marco
“Mi hai umiliato davanti a tutti, sei contento ora? Vorrei sapere dove sbaglio, cosa ti faccio mancare. Vuoi la bici nuova? Eccoti la bici nuova. Vuoi il computer come quello dei tuoi amici? Eccoti accontentato. Ti accontento in tutto e tu così mi ricambi? Nuotando come un pesce palla? Quante volte ti ho detto di allungare di più la bracciata e di unire bene le gambe in partenza, eh? Sei un buono a nulla, ecco quello che sei!”
“Hai finito ora? Che sarà mai una gara persa?”, continuò Manuela
“Si, si difendilo tu. Guarda come sta crescendo tuo figlio. Come un perdente, ecco come. Magari alla sua età avessi avuto io due genitori pronti a sacrificarsi per farmi diventare qualcuno.”
“Sei patetico, erano altri tempi”
“Ma quali altri tempi. Se uno vuole essere il primo nella vita, un vincente, deve farsi un mazzo così e impegnarsi a fondo fin da piccolo, invece di perdere il tempo coi libri e coi giochi”
“Marco ha solo dieci anni, lo capisci o no?”
“E allora? Ti sembra normale che a dieci anni si pisci ancora sotto, eh?”
“Stai esagerando, ora basta!”, tuonò Manuela
“Basta lo dico io, mia cara. Fino a prova contraria è il sottoscritto che paga l’affitto e le bollette. Non te lo dimenticare”

Quelle parole erano spilli nella carne, sale su una ferita sanguinante. Marco cominciò a tremare e a stringersi la testa tra le mani, come colpito da una crisi isterica.
“Vaffanculo, vaffanculo, fermati, voglio scendere!”, gridò Marco, tirando calci al sedile di Paolo.
Paolo frenò di colpo, come se la Madonna in persona gli si fosse materializzata davanti.
“Hai capito? Ho un figlio perdente e per di più maleducato”
Scese di corsa dall’auto con gli occhi iniettati di sangue, e aprì lo sportello posteriore.
“Basta….ti prego, lascialo stare!!”, lo pregò Manuela
Afferrò Marco per un braccio e lo tirò giù dalla macchina con forza. Il primo schiaffo gli lasciò sul viso l’impronta delle cinque dita. Rosse come le corsie di una piscina.

Appena arrivati a casa, Marco scappò nella sua stanza. Sara dormiva. Prese il pigiama e se lo infilò. Poi si nascose sotto le coperte.
Dal corridoio arrivavano i discorsi smorzati ma sempre taglienti di Manuela e Paolo. Poi il silenzio.
Manuela entrò nella stanza e si sedette sul bordo del letto dov’era Marco. Si accovacciò su di lui e lo abbracciò forte, passandogli una mano tra i capelli.
“Mamma, è vero quello che dice papà? Che sono un pisciasotto, e che non diventerò mai un uomo?”
“Ma no che non è vero. Papà a volte dice cose che non pensa. E’ fatto così. Ma tutto quello che fa, lo fa per il tuo bene”
“Pure quando mi riempie di botte?”
Manuela abbassò lo sguardo sul piumone azzurro del letto. Per un attimo vide il suo passato scorrerle davanti agli occhi: l’università mai finita, il matrimonio riparatore con Paolo per via della gravidanza e il lavoro di ragioniera lasciato e mai più ripreso, per occuparsi di Marco a tempo pieno. Cominciò ad avvertire il solito formicolio agli occhi, quello che le faceva compagnia ogni sera, a letto, prima di addormentarsi. E quando il suo sguardo incontrò quello timido e impaurito di suo figlio, sulle sue guance cominciarono a scorrere lacrime grosse come gocce di pioggia.
“Perché piangi mamma?”, s’affrettò Marco.
“Niente, non preoccuparti. Andiamo a letto ora”
Manuela si alzò e si avviò con passo lento e silenzioso verso la porta.
“Mamma?”
“Che c’è?”
“Puoi lasciare accesa la luce nel corridoio?”
“Va bene. Ora dormi però, che domani c’è scuola”
Manuela uscì e entrò nella sua stanza da letto.
Dopo pochi istanti, i passi di Paolo risuonarono nel corridoio.
Dal letto, Marco riusciva a scorgere l’ombra delle sue scarpe sotto la porta. Poi la luce si spense e Paolo seguì Manuela nella sua stanza.
Tutto intorno fu avvolto dall’oscurità. Ogni piccolo rumore era assordante: lo scricchiolio dei mobili, il ticchettio dell’orologio appeso al muro. In quel buio, qualsiasi alieno o spirito maligno avrebbe potuto rapirlo e portarlo chissà dove. E Paolo non lo avrebbe salvato perché era troppo arrabbiato per la gara.
Marco infilò la testa sotto le coperte e cominciò a mordersi le mani con forza, quasi volesse staccarsele. Avvertì un bruciore nella parte bassa dell’addome.

Devo correre in bagno, ma col buio non posso, non ce la faccio proprio.

Strinse forte le ginocchia al petto e lentamente sentì quel bruciore diminuire e l’addome rilassarsi. Era un sensazione bellissima. Distese le gambe e con la mano toccò le lenzuola. Erano tutte bagnate. Le annusò.

Mannaggia, mi sono pisciato di nuovo sotto. Stavolta papà mi ammazza.

Per un attimo chiuse gli occhi e suo padre gli si materializzò davanti, col dito puntato contro e una smorfia sprezzante stampata sul viso: “Vergognati alla tua età, vergognati. Domani lo dirò anche a Sonia Viggiani quello che fai, così vediamo se lo rifai o no!”
Col cuore in gola Marco si alzò dal letto, e arrancando tra le scarpe sparse sul pavimento si avvicinò alla scrivania accanto alla finestra. Ci salì sopra aiutandosi con la sedia. Aprì piano l’infisso e alzò lentamente le persiane. Sara dormiva beata e nascosta da una montagna di coperte. Guardò per un attimo la strada. Dal quarto piano le macchine schizzavano come lucciole impazzite, e le persone si muovevano come formiche in un formicaio. Poi guardò in alto. La luna sembrava una virgola bianca disegnata su un cielo di carta scura punteggiata di stelle.

Papà ha ragione. Non diventerò mai un campione se non mi alleno di più. Devo unire bene le gambe in partenza; è lì che sbaglio.
Voglio che papà sia fiero di me.

Unì bene le gambe e poi le braccia spingendosi col busto in avanti.
Finché fu tutto più buio.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

scrivi enrnesto. scrivi scrivi scrivi. se posso darti un consiglio, per quello che vale, asciuga tutto l'eccesso, tutto quello che costuisce 'passaggio' da una scena all'altra.
saluti.

luigi

Anonimo ha detto...

Buongiorgio Caro Fanciullo! :) Sono la Pooh del forum! Ho aperto subito dopo pranzo questo tuo blog e sono rimasta super esterrefatta! Sei davvero bravissimo. Mi sono piaciuti sia questo racconto che "Diario Di Una Brutta Sorpresa." Quest'ultimo è quello che mi ha, sinceramente, colpito di piu'. "Volgare" il giusto, illuminante ma, soprattutto, di una dolcezza devastante, quasi sovraumana!
Non vedo l'ora di leggere qualcosa di nuovo... :)
Ti abbraccio e ti ringrazio per le emozioni intensissime che mi hai fatto provare leggendo questi tuoi due scritti (ps : nel primo mi sono immedesimata tantissimo...sono , anche se una fanciulla, un secondo Marco ... )
Buona Giornata!!!

-Pooh- :)

Anonimo ha detto...

Ti ho incontrato nel blog letterario di Elisabetta.
Scrivi con piglio fresco e moderno.
Grazia
http://curiosa.splinder.com
www.graziagiordani.it

Unknown ha detto...

Eccomi qui, leggo i tuoi racconti.
Le descrizioni sono efficaci, ma seguirei il consiglio di Carrino (al punto 1), asciuga e taglia tutto ciò che non è indispensabile alla storia.